Probabilmente si tratta di un’immagine desunta da un altro progetto editoriale. La rappresentazione sembra corrispondere al ritrovamento di Mosè neonato nel fiume Nilo. Grazie a Giuseppe, i discendenti del popolo di Israele si stanziarono in Egitto. Un nuovo faraone, temendo il loro proliferare, decise di far uccidere tutti i figli maschi. L’israelita Amram e sua moglie generarono un bambino chiamato Mosè. Inizialmente cercarono di nasconderlo in casa ma poi decisero di metterlo su una cesta e abbandonarlo nel Nilo. La figlia del faraone, che stava facendo un bagno nel fiume insieme alle sue ancelle, lo trovò e decise di tenerlo. Perciò Mosè venne affidato alle cure di una donna ebrea e, in seguito, crebbe alla corte egizia. Un confronto può essere effettuato con la scena affrescata nelle Logge Vaticane nel primo ventennio del Cinquecento, ad opera di Giulio Romano. Alla fine del secolo, nel 1580, Paolo Veronese dipinse la scena realizzando una principessa agghindata con un vestito molto elegante e una corona. Anche in questo caso l’ambientazione sembra avere poco a che fare con l’Egitto. Questo tema venne sviluppato in due occasioni nel Seicento. Orazio Gentileschi intorno al 1630 rappresentò alcune bellissime donne molto eleganti che ritrovano stupite la cesta con il bambino mentre Nicolas Poussin decise di ambientare la scena di fronte al palazzo del faraone che ha le sembianze di Castel Sant’Angelo. Infatti, anche il resto del paesaggio sembra corrispondere più a una zona limitrofa al Tevere che al Nilo. Nel testo di Tarsia questa illustrazione viene inserita nel capitolo dedicato all’allattamento da parte di Maria del neonato Gesù. Forse viene inserita questa scena per la presenza di un neonato che viene trovato e curato.

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